15 – CASA DEL PETRARCA

DESCRIZIONE:

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Nel 1369 Francesco Petrarca ormai stanco, vecchio e malato, decise di trasferirsi ad Arquà, insieme alla figlia Francesca, il genero Francescuolo da Brossano e la nipote Eletta. 

Vi rimase fino alla sua morte avvenuta nella notte tra il 18 ed il 19 Ottobre 1374. 

La casa forse venne donata al Petrarca da Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova e amico del poeta. 

Il Petrarca la fece ristrutturare in base alle sue esigenze, seguendo i lavori, facendo unire i due edifici che si trovavano su due livelli diversi, creandone così uno unico. 

La porzione più in alto dell’edificio era adibita alla servitù, mentre la parte sinistra era adibita alla sua famiglia (parte padronale o dominicale).

Nella parte anteriore vi è il giardino, mentre sul retro vi era l’orto.

Il poeta fece poi modificare la distribuzione delle stanze.

Nella parte padronale la stanza centrale divenne salone di rappresentanza e di collegamento, illuminata da una grande finestra dalla parte del giardino e chiusa da un camino dalla parte che da sull’orto. 

L’INGRESSO

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Si entra come al tempo di lui, salvo che allora si saliva liberamente dalla pubblica via fino alla porta del giardino.

Quando il Comune di Padova divenne proprietario, provvide ad un nuovo ingresso rettilineo, che rimase in uso fino al 1923, anno nel quale fu serrato rinnovando l’accesso originario, (ed attuale), aggiungendo però, per motivi di sicurezza un cancello. 

e abbattuta una casa antica che sorgeva di rimpetto al giardino aprì un muro di cinta a filaretti di trachite.

sul quale si apre la porta ad arco acuto con ghiera a formelle di cotto, riempite da rombi tagliati a scalpello.

A sinistra della porta vi è l’anello in ferro per legare i cavalli.

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L’orto anteriore aveva una pergola di vite, e probabilmente un ortulus cultior, coltivato ad erbe aromatiche: rosmarino, issopo, marrobio; secondo le consuetudini del Petrarca. 

Nel secolo XV il patrizio Girolamo Donato in una poesia latina accenna a un alloro piantato dallo stesso poeta. 

“Hic doctis laurus manibus plantata Petrarchae est” Allo stesso alloro allude il Sanudo all’anno 1483.

Il Valdezocco costruì la graziosa loggetta di carattere rinascimentale e la scala esterna. 

I Cassici mutarono in seguito le finestre facendole quadre per avere più luce nelle stanze, e chiusero la trifora, cosa che motivò le ire del Gabrielli e un processo, di cui al Museo Civico di Padova esistono gli interrogatori. 

La loggetta fu conservata nell’ultimo restauro, anche se un’aggiunta dopo la morte del Petrarca, in quanto caratteristica ed ormai nella conoscenza secolare dei visitatori.

La prima idea di fare della casa un museo fu dell’abate Stefano Piombin di Monselice, che il 18 luglio 1878 potè inaugurarlo con un discorso suo e di Andrea Gloria. 

VISITA AL PRIMO PIANO:

1) STANZA CENTRALE O DELLE METAMORFOSI 

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Paolo Valdezocco proprietario della casa, dal 1546 al 1556 fece decorare le pareti delle stanze principali con affreschi ispirati alle opere del poeta.

Le scene sono rappresentate nella parte alta, mentre nella parte bassa vi è una decorazione trecentesca, parzialmente ancora visibile nello studio del poeta. 

I dipinti sono attribuibili ad almeno due artisti diversi non identificati.

I riquadri prendono avvio dall’angolo estremo della parete sinistra, seguendo un percorso antiorario.

A) Laura e Amore trasformano il poeta in alloro: 

[…] “facendomi d’uom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde”

B) il poeta è trasformato in cigno “ond’io presi col suon color d’un cigno” 

“questa che col mirar gli animi fura, m’aperse il petto e ‘l cor prese con mano” 

C) Laura strappa il cuore al poeta 

Il poeta incontra Laura ma non la riconosce 

“poi la rividi in altro habito sola tal ch’ì non la conobbi, oh senso umano” 

Laura trasforma il poeta in sasso 

“tosto tornando, fecemi, oimè lasso, d’un quasi vivo et sbigottito sasso” 

continuando in senso antiorario sulla parete di destra 

D) il poeta si lascia cadere sull’erba e dal gran piangere si trasforma in fonte 

“Come huom che tra vi dorma, gittaimi stancho sovra l’erba un giorno. Ivi accusando il fuggitivo raggio, le lagrime reiste allargai ‘l freno et lasciale cader come a lor parve; né già mai neve sotto al sol disparve com’io sentì me tutto venir meno, et farmi una fontana a pie’ d’un faggio.” 

E) Il poeta incontra nuovamente Laura che lo trasforma in pietra 

“Ma nulla à ‘l mondo in ch’uomo saggio si fide: ch’ancor poi ripregando, i nervi et l’ossa mi volse in dura selce; et così scossa voce rimasi de l’antiche some 

chiamando Morte, et lei sola per nome” 

F) il poeta si imbatte in Laura nuda immersa in una fonte d’acqua 

“ch’un dì cacciando sì com’io solea mi mossi; e quella fera bella et cruda in una fonte ignuda si stava, quando ‘l sol più forte ardea. Io, perché d’altra vista non m’appago, stetti a mirarla: ond’ella ebbe vergogna; et per farne vendetta, o per celarse, l’acqua nel viso con le mani mi sparse” 

Il poeta si trasforma in cervo e fugge inseguito dai cani 

“Et in un cervo solitario et vago di selva in selva ratto mi trasformo: et anchor de’ miei can’ fuggo lo stormo” 

Gli affreschi terminano con la figura dell’aquila

G) il poeta si paragona all’aquila 

“et fui l’uccel che più per l’aere poggia, alzando lei che ne’ miei detti honoro” 

Ai lati dell’aquila, l’ara con il fuoco inestinguibile, che né vento né pioggia possono spengere (“nec vento nec imbre”)

e la stella a cinque punte simbolo di salute o forse di nodo inestricabile 

si notino nella parte rustica a destra, l’ingresso originario con il portone monumentale sormontato dalla stella della famiglia Gabrielli. 

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Le modifiche compiute da Paolo Valdezocco intendevano valorizzare la casa come luogo di memorie petrarchesche, ma furono criticate dai contemporanei del tempo. 

Così Sperone Speroni (Padova 1500 – 1588), che si adoperò per salvare dalla demolizione la casa padovana del Petrarca, scrisse: “Il mutar la sua stanza dal suo essere con ornamenti è cosa biasimevole… si dove conservar in quella antichità, quasi non pur la stanza in sé, ma la calcina e la polvere del suo tempo, se possibile fosse si doveano conservare”. 

2) LA STANZA DI VENERE

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Era forse in origine la camera da letto del Petrarca. 

I fregi presenti nella parte alta del muro non sono in buono stato di conservazione, si intravede nella parte alta vicina all’ingresso una nave, una scena dio uomini davanti ad una pozza d’acqua, a sinistra, e, a destra, sulla parete vicina il Petrarca seduto accanto ad una sorgente con un libro in mano e dinnanzi ad una donna con un fanciullo.

 

Molto probabilmente il riferimento è alla canzone petrarchesca “qual più diversa et nova” numero 135 del Canzoniere, dove sono descritti fenomeni naturali straordinari: così almeno si ricava dalla descrizione delle pitture contenuta in una delle più antiche guide della casa; “Il Petrarchista di Ercole Giovanni”, pubblicato nel 1623. 

La nave che si intravede sarebbe quindi l’imbarcazione fatta affondare nell’ “indico mar” dalla pietra calamita che attira il ferro. 

La pozza davanti ai due uomini è la fonte dell’Epiro in cui introducendo una fiaccola accesa questa si spegne, introducendola spenta questa si accende. 

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Sono invece ben conservate le pitture del camino: 

Sul lato sinistro, è presente una donna presa nella rete da una figura maschile.
forse rappresentazione semplificata del mito di vulcano, che cattura gli amanti Venere e Marte.
esponendoli allo scherno degli altri dei. 

Sull’architrave in pietra del camino, è ancora visibile la lunga iscrizione incisa da alcuni studenti austriaci nel nel 1544 a ricordo della loro visita. 

Per ovviare all’usanza di apporre la propria firma sulle pareti della casa, fin dal 1787 furono messi a disposizione dei visitatori i cosiddetti Codici di Arquà, ovvero dei registri cartacei (libri) dove i visitatori potessero lasciare traccia del loro passaggio. 

Una volta la stanza era detta camera della gatta fino al 1970, per via dei resti imbalsamati di una gatta, sopra la porta d’ingresso; resti che furono trasferiti al pian terreno. (MANCA FOTO DI QUESTO DETTAGLIO):

Dalla porta-finestra delimitata da un poggiolo in ferro, che sostituì nel 1690 l’originaria balconata in legno, si può vedere il panorama del monte Cero, a destra il monte Castello e a sinistra il piccolo centro di Calaone. 

3) STUDIO DEL PETRARCA

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è dove il Petrarca morì nella notte tra il 18 ed il 19 Luglio 1374.

Fu a lungo diviso in 3 piccole stanze, stanza che con il restauro del mille 1919, tornò ad essere un unico spazio.

Le pareti mostrano ancora tracce della decorazione trecentesca

Delle fasce colorate con sotto un fregio costituito da uno stemma ricorrente, intercalato fa finestroni di fiori dal quale prendono motivi di finti tendaggi rossi e verdi. 

Dallo stemma parzialmente rovinato si riconosce una barra d’oro in campo azzurro, che lo fa identificare come lo stemma del Petrarca. 

Nello studio sono ancora conservati la sedia e l’armadio-libreria, che sarebbero stati usati dal Petrarca secondo una tradizione attestata sin dal Cinquecento.

4) STANZA DELLE VISIONI

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I dipinti presenti si ispirano alla canzone petrarchesca “Standomi in giorno solo a la finestra n. 323 
del Canzoniere”; detta 
Canzone delle visioni 
Partendo dal primo dipinto alla destra del ritratto del Petrarca: 


1) Il cervo inseguito dai cani 
“Una fera m’apparve da man destra, con fronte humana, da far arder Giove, cacciata da duo veltri, un nero, un biancho.” 


2) La nave improvvisamente squassata dalla tempesta: 
“Indi per alto mar vidi una nave, con le sarte di seta, et d’òr la vela, tutta d’avorio et ebeno contesta” 


3) L’alloro schiantato
“In un boschetto novo, i rami santi fiorian d’un lauro giovenetto et schietto” 


4) La sorgente intorno a cui si riuniscono ninfe e pastori inghiottita improvvisamente dalla terra 
“Chiara fontana in quel medesmo bosco sorgea d’unsasso, et acque fresche et dolci spargea, soavemente mormorando” 


5) La fenice che rivolge il becco contro se stessa 
“Una strania fenice, ambedue l’ale di porpora vestia, e ‘l capo d’oro” 


6) La morte di Laura 
“Alfin vid’io per entro i fiori et l’erba pensosa ir sì leggiadra et bella donna” 
Vi è poi il ritratto del Petrarca così come era ricordato nel Cinquecento, periodo nel quale venne dipinto. 

5) STANZA DI CLEOPATRA O DELL’AFRICA

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Prende il nome dalla figura femminile rappresentata sul camino. 

Detta anche dell’Africa o di Lucrezia. 

Il primo nome deriva dalle pitture presenti nelle stanza, pitture ispirate all’Africa, testo latino del Petrarca che narra le gesta di Scipione l’Africano.

Il secondo nome deriva dal rilievo in stucco dipinto del Sedicesimo Secolo che rappresenta l’eroina romana Lucrezia, rilievo posto sopra la porta che da accesso alla stanzetta di destra.

 

Sul camino è dipinta Cleopatra morsa dagli aspidi

è poi rappresentata la poetessa Saffo mentre scrive nel suo studio (parte destra) e mentre si getta dalla rupe di Leucade (parte sinistra).

Ai lati della canna fumaria, altre due pitture, a destra il banchetto di Cleopatra con Marc’Antonio ed Enobarbo, dove la regina d’Egitto scioglie in una coppa di vino una perla per dimostrare il suo spregio nei confronti della ricchezza 

A sinistra della canna fumaria, il Re con le mani legate dietro la schiena viene portata da un soldato al cospetto di una donna; forse Giulio Cesare che presenta a Cleopatra il fratello prigioniero, Tolomeo. 

Le tre donne, raffigurate nella stanza sono accumunate dal suicidio e nominate nei Trionfi del Petrarca.

6) STANZETTA DI DESTRA E DI SINISTRA

Stanza di servizio della parte padronale della casa e di passaggio alla parte “rustica” Non vi sono tracce di decorazione, forse assenti fin dall’origine. 

7) PIANTERRENO 

La gatta del Petrarca

Secondo la tradizione si tratta della gatta imbalsamata del Petrarca, sua compagna domestica, così come raffigurata nella Sala dei Giganti a Padova. 

In realtà è uno scherzo del Gabrielli, proprietario della casa durante i primi del Seicento. 

Era posta al primo piano fino al 1970 sopra la porta della stanza di Venere, venne poi collocata al piano terra 

(AGGIUNGI TENTATIVO DI FURTO)

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